1961/1970

ROCKSTEADY

Siamo agli inizi del 1960 ed in Giamaica si vive in una costante crisi economica. Alcune persone si prendono bene ascoltando Ska e sfogando le loro angosce nel ballo, davanti ai Sound System. Poi ci sono loro: quei giovani disoccupati senza futuro, ai quali non basta svagarsi con lo Ska nelle orecchie.

Sono incacchiati.

Sono rudi e grezzi, perchè esserlo significa essere qualcuno in una società che nemmeno ti considera.

Sono “Rude Boys“.

Vivono di espedienti: commerciano marijuana, rubano e comprano vestiti da gangsters americani. Ballano, con atteggiamento minaccioso, sulle note di uno ska più lento in cui predomina il basso. I testi delle canzoni cambiano e parlano di malavita.

L’opinione pubblica si schiera contro i rude boys. Intervengono anche alcuni artisti ska che esortano i ragazzi grezzi a non usare le armi. Prince Buster incide “Judge Dread” in cui denuncia la loro violenza, spesso rivolta contro le stesse persone del ghetto. Desmond Dekker pubblica la famosa “007 Shanty Town” e gli The Heptones  “Gunmen coming to Town”. 

Sopraggiunge l’estate del 1966 in Giamaica. Caldo torrido. Umidità al 100%. La gente balla lo Ska davanti ai sound system e gronda di sudore. I DJ pensano sia meglio rallentare il ritmo, prima che qualcuno dia una patta per terra. E fu così che, rallentando lo Ska, probabilmente, nacque il Rocksteady.

Molti Rude boys decidono di emigrare in Inghilterra con gli LP Ska e Rocksteady sottobraccio. Vanno a vivere nei quartieri operai e nelle periferie, dove incontrano altri giovani emarginati, i Mod appartenenti alla working class. I Rude Boys e i Mods frequentano gli stessi locali, si contaminano vicendevolmente i gusti musicali e di abbigliamento. Fu così che nacquero gli Skinhead. Questo, però, è un altro capitolo.

Torniamo al Rocksteady: questo nuovo genere mette in primo piano il pianoforte e il pastosissimo e burrosissimo basso, che enfatizza la prima e la terza battuta. Ah ah ah. È uno ska rallentato per metà, con la cassa sulla terza battuta e la chitarra suonata sul secondo e quarto battito sui 4/4. Ehi, sax e trombone sempre presenti. Il rocksteady esalta la parte vocale chiaramente ispirata al Soul americano (in particolar modo ai Drifters che spesso suonano in Giamaica), come sostiene il buon caro vecchio Alton Ellis (“The godfather of rocksteady”): «cantando in quello stile soul, la musica rallentò e invece di suonare il beat come una marcia cominciammo a suonare così (imita un vecchio ritmo rocksteady con la voce)e la musica si adattò al soul che cantavamo»

Questo nuovo genere deve il suo nome proprio ad Alton Ellis che incide il brano “Get Ready-Rocksteady”. Alcuni pensano che sia nato per merito del caldo torrido giamaicano, che impediva alle persone di scatenarsi sulle note Ska. Altri, invece, sostengono che l’innovativo sound fosse nato durante le prove del gruppo capeggiato da Elton Ellis durante le quali quello scansafatiche del bassista non si presenta. Tocca al tastierista Jackie Mittoo prendere in mano il basso. La mano sinistra del volenteroso Mittoo, però, non riesce a stare al passo dei ritmi serrati dello Ska e si  trova costretto a rallentarlo.

Quale sarà la verità?

Chissene, io nel dubbio ci sguazzo e continuo ad ascoltare la mia playlist “Musica in levare-ROCKSTEADY”. Si spazia dai The Wailers (un giovanissimo Bob Marley con Peter Tosh e Bunny Wailer) agli Heptones, i Melodians, passando per Alton Ellis.

3 thoughts on “ROCKSTEADY

  1. Tutto questo é meraviglioso, interessante e direi anche molto attuale 🙂
    Grazie per averlo raccontato sistah mia!
    Citty

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