JAZZ FUSION
Verso la fine degli anni ’60 il rock pervade il globo terrestre ed il jazz trova nuova linfa trasformandosi in Fusion. Vengono introdotti strumenti elettrici tipici del rock. Molti sostengono che la prima incisione di questo genere sia Hot Rats di Frank Zappa. Album strepitoso composto da un artista altrettanto megagalattico.
Non sono una grande esperta di Fusion, ma posso parlarvi tranquillamente di due album-pietre miliari del genere.
O’ ZAPPA-TORE
I più conoscono Zappa per la sua celebre “Tengo ‘na minchia tanta“, ma dovete sapere che qui si parla di un mostro sacro dal repertorio anarchico. Artista poliedrico di origini italiane, nemico dell’America di Nixon e Reagan, musicista senza un genere preciso ed è proprio questo il bello. A 19 anni io non sapevo cosa fare della mia vita, mentre Frank a quell’età costruisce uno studio di registrazione a Cucamonga ribattezzandolo “Studio Z” e con i pochi soldi guadagnati compra una chitarra elettrica. Una volta lessi “Sto con la band“, la storia di una delle groupies più famose del rock e la protagonista- scrittrice Pamela Des Barres, che ha vissuto nello Studio Z in qualità di Baby-sitter della figlia Moon con altri comunitari, dedica una marea di parole di amore nei confronti di Zappa, descrivendolo un amico molto buono, dai modi gentili e bacchettone con chi usava stupefacenti (licenzia anche un musicista perchè fuma canne).
Zappa passa nottate con Don Van Vliet sotto le stelle del deserto del Mojave ascoltando rythm&blues e parlando dei loro sogni di musicisti. Frank in qualità di talent scout sente odore di talento e ribattezza Don come Captain Beefheart. Frank con i suoi Mothers of Invention condensa energia e libertà con le idee dei freak californiani e compone il primo album “Freak Out!“. Dico solo che ha ispirato Paul McCartney & Co alla stesura di “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band“. Avanguardia, contemporanea, free-jazz, blues: un cocktail mozzafiato che mischia il sacro ed il profano, la classica ed il rock. Questo album è ricco di “supid songs”, ossia di canzoni volutamente superficiali nei temi trattati, ma al tempo stesso ricche di cucchiai al cianuro da dare in pasto al bigottismo ed all’ipocrisia culturale dell’epoca, canzoni stupide per prendersi gioco dei politici, rendendoli quasi delle caricature da fumetto. In questo periodo partecipa ad una trasmissione televisiva condotta dall’ex veterano acido Joe Pyne. Quest’ultimo era solito demonizzare i capelloni, sembrava avercela con il mondo intero e molti pensano che quest’aggressività fosse dovuta all’amputazione di una gamba durante la guerra. Frank si presenta con una chioma fluente e lunghissima che Satomi scansati. Pyne appena lo vede gli dice: “Certo signor Zappa che a giudicare dai capelli lei è una signorina!“. Lui risponde con nonchalance: “Lei signor Pine, a giudicare dalla gamba, è un tavolino“. E Pyne muto.
Nel maggio del 1967 esce Absolutely Free, il secondo album caratterizzato da critiche rivolte alla politica americana, mascherate da canzoni. La mia preferita è “Invocation and ritual dance of the young pumpkin“: la batteria è un treno, il flauto ed il tamburello hanno un certononsochè di esoterico, la chitarra canta un lungo assolo. Ti immagini in un bosco, a mezzanotte, a ballare scalza e con gli occhi chiusi attorno ad un fuoco, in balìa degli istinti. Nello stesso anno esce Lump Gravy, il preferito di Zappa nel quale lui sperimenta la contemporanea delineando le classiche sonorità zappiane.
Seguono altri album memorabili fino a giungere ad Hot Rats, il primo della carriera solista di Zappa, senza i suoi “Mothers of Invention”. Credo di avere consumato quel CD. Si apre con la piccola suite “Peaches En Regalia”, che forse è l’emblema del classico sound zappiano : fiati, tastiere, pianoforte e chitarra si intrecciano dando personalità e coerenza all’armonia. Il secondo brano è cantato dalla voce gutturale e quasi mefistofelica di Captain Beefheart, nei panni del pappone WIllie. “Willie the pimp” è un vero trip di suoni chitarrosi: effetti, wah-wah e sperimentazione di esecuzione,si parte da una melodia strutturata fino all’estrema improvvisazione per poi tornare alla melodia originaria. Da menzionare i musicisti incredibili che danno corpo a questo sound: il violinista “Sugar Cane” Harris, il bassista Max Bennett ed il percussionista John Guerin. Arriviamo alla mia preferita “Son Of Mr. Freen Genes” caratterizzata da un inizio tranquillo dalle sonorità baroccheggianti. I suoni si incrementano sempre di più fino ad arrivare al primo caldo assolo di Frank che è goduria pura. Si riprende la melodia di partenza, ma poi ci si stacca di nuovo, il brano si stravolge, si reinventa alla velocità della luce. Si arriva alla parte centrale durante la quale i peli delle braccia diventano dritti come di fusi: il susseguirsi di assoli di chitarra e di sax contrappuntato (da lacrime agli occhi), poi gli strumenti cantano assieme creando un binomio mozzafiato, fino a darsi un botta e risposta da “duello” dei suoni. Qui si raggiungono vertici elevatissimi. Quando ascolto Hot Rats mi viene voglia di mettere questo capolavoro in repeat all’infinito per essere trascinata ancora una volta in questo vortice di bollenti virtuosismi.
Si giunge al jazz di “Little Umbrellas” con il contrabbasso che apre la pista ad un sound sinistro, come se ci fosse un serpente che striscia sinuosamente tra i fili d’erba alla ricerca della preda. Arriviamo al riff di basso di Bennett che in “The Gumbo Variations” fa largo al sax di Underwood, il quale magistralmente da il via ad un flusso di coscienza del sax che muta continuamente e che sembra non finire mai. Io vado in visibilio quando subentra il violino avanguardista acido e stridulo di “Sugar Cane” Harris.
L’album si chiude con la pacatezza di “It Must Be A Camel”: mi risulta difficile l’ascolto, perchè mi ricorda il free jazz in cui ogni musicista segue la propria strada senza badare a ciò che fanno gli altri. Preferisco il Zappa frenetico dei brani precedenti.
BILLY COBHAM-SPECTRUM-
Billy Cobham vanta collaborazioni con Miles Davis, e la militanza nella leggendaria Mahavishnu Orchestra. Nomi proprio a vanvera, ecco. Si tratta di uno dei batteristi più incredibili della storia, di una precisione e puntualità formidabili. Una vera macchina da guerra dietro alle pelli. “Spectrum”, assieme a “Hot Rats” è un album simbolo della Fusion. Tecnica e fantasia sono bilanciate perfettamente come gli ingredienti di uno di quei cocktail che bevi in scioltezza senza che ti faccia venir subito le biglie in bocca. In questa costola del Jazz ritroviamo elementi dell’hard rock come la carica, la velocità ed un po’ di sane distorsioni. “Spectrum” è l’orgasmo dei batteristi: la batteria è in primo piano con i suoi continui cambi toms,cassa e rullante, le trasformazioni di battere in levare, i tempi dispari incastonati precisamente. Tra l’altro il chitarrista virtuoso è Tommy Bolin, futuro Deep Purple fortemente voluto da David Coverdale dopo aver ascoltato proprio “Spectrum”. Lo amo alla follia! PS: ascoltate il suo album solista “Teaser“.
Tornando a “Spectrum”, la canzone che preferisco è “Quadrant 4”: Billy Cobham picchia duro, la sua batteria è un treno che per poco non ti travolge. Poi partono gli assoli di tastiera e i fraseggi di chitarra…ciao. Energia che schizza da tutti i pori.
Non vi rimane che salire sul vagone in corsa, per farvi portare chissà dove.