1961/1970

THE WHO

Il mio secondo live degli Who

Era il 2000, avevo esattamente  11 anni, quando mi appassionai a CSI Las Vegas talmente tanto che ho maturato il sogno di entrare nei RIS di Parma. Poi mi interessai alle menti criminali, ma questa è un’altra storia. Aspettavo il Venerdì  sera con trepidazione: pizza e CSI per la Contini Family sbragata sui divani di casa. Quella sigla, quella maledetta sigla me la canticchiavo giorno e notte. Shazam era pura fantascienza e non avevo la benché  minima idea di cosa volesse dire possedere un cellulare. Erano i tempi delle prime connessioni internet. Ingaggiai un amico smanettone che trovò  il titolo della canzone. La scaricò illegalmente e da lì  cominciai a nutrire dell’amore puro nei confronti di questi 4 geniali ragazzi . 

Il brano era “Who are you?”. Loro sono i The Who.

Keith Moon era l’anima, Pete Townshend il cervello, Roger Daltrey il cuore e John Entwistle il talento. 

Cominciamo con le presentazioni: 

ROGER DALTREY -Cuore-

Il frontman della band è lui: il cantante Roger Daltrey, questo boccolosissimo e gnoccherrimo ragazzo.

Della triade “Sesso, Droga e Rock’n’roll “, sembra gli importi solo del sesso e del R’n’R. Rifiuta ogni tipo di stupefacente, perché appena sente l’odore di cannabis la voce si strozza, diventa rauca. Ricordo ancora quel loro concerto nel lontano 2006 all’Arena di Verona. Diluvio universale, i teli dei maxischermi volano altrove. Tutti  noi del pubblico ci siamo rintanati  nei sotterranei. Una volta calmata la situazione ritorniamo in platea e sugli spalti. Daltrey comincia a cantare, ma la voce sembra quella di Tom Waits. Lui s’incazza e vuole mandare tutto a ramengo, vuole interrompere il live. Noi increduli e anche un po’ incacchiati. Townshend prende in mano la situazione ed il microfono. Ho assistito ad un concerto incredibile. Anarchia pura.

Questa sono io avvolta dalla mantella, durante quell’umidissimo concerto all’Arena di Verona. Avevo 16 anni. E i trapper muti.

Noi abbiamo preso i biglietti per stare sugli spalti, sui gradoni, ma nel delirio siamo scesi in platea insieme a tutti quelli che, fino ad un attimo prima, erano seduti ai loro posti numerati. Valeva tutto. Ora, a distanza di anni, capisco il perché di quel cambio repentino di voce. All’inizio imputai la causa al tempo avverso, nemico delle corde vocali, ma è più plausibile che nel backstage qualcuno si sia acceso uno spino per stemperare la tensione e Daltrey ne abbia pagato lo scotto.

È capitato spesso che Roger, prima di cominciare a cantare, dicesse a quelli in prima fila di non fumare canne. Un anno, un fan ha osato rispondergli qualcosa, della serie “non frantumarmi gli zebedei, perché se voglio, mi fumo pure l’edera del vicino” (che è notoriamente sempre più  verde). Di tutta risposta il frontman gli ha detto che se non avesse spento lo spinello, glielo avrebbe infilato tra le natiche.

“Io ero quello retto della band. Stavo con tre tossicodipendenti, io ero il ragazzo pulito perché dovevo guidare il furgone, dovevo raccogliere i soldi e assicurarmi che tutti arrivassero ai concerti, li dovevo tirare giù dal letto. Qualcuno quel lavoro lo doveva fare se si voleva che il gruppo ce la facesse. Il resto della mia vita aveva un biglietto di sola andata per la fabbrica, quindi non avevo dubbi che la band doveva farcela. Nella loro testa, la vita era un grande party. Non è stato facile perché mi sono perso molto divertimento”.

Dai su, ti sei divertito abbondantemente tra le lenzuola. Ingordo di groupies e avvezzo ai movimenti pelvici, al suo 50esimo compleanno ha ricevuto gli auguri da una sua figlia illegittima, alla quale se ne aggiunsero altri due. 

Roger fa da bàlia agli altri della band e mostra segni di insofferenza, durante le riprese del video promozionale di quel capolavoro di Quadrophenia (film cult per i mods). Pete, stizzito, lo provoca: “Farai quello che ti è stato detto!”. Daltrey ci parte pesante contro Townshend, ma viene trattenuto dai tecnici.

“Pete ha iniziato a urlare ai tecnici dicendo “lasciatelo andare! Lo uccido quel piccolo stronzo”. E così gli altri mi hanno lasciato andare. Tutto ciò che ricordo è che lui mi lanciò contro una Les Paul (chitarra). Mi passò accanto all’orecchio e per poco non scrisse la parola fine alla storia degli Who. Dopo aver schivato l’ennesimo gancio, risposi con un montante sulla mascella. Pete rimbalzò indietro come se fosse stato fulminato. Poi cadde a terra, battendo la testa sul palco. In quel momento pensai di averlo ucciso”. 

Nel mentre, arriva in studio il manager: “ma è sempre così?”. Il batterista Keith Moon gli risponde “No, anzi. Oggi è uno dei loro giorni migliori”. 

Roger, pentitosi amaramente, carica in auto Pete e lo porta all’ospedale. Pace fatta, almeno fino alla prossima lite. 

KEITH MOON – Anima –

Alice Cooper una volta disse: “Solo il 30% delle cose che avere sentito su di me o Ozzy Osburne o Marilyn Manson è vero, tutto quello che avete sentito su Keith Moon è vero!”.

Moon The Loon: si, era matto, ma matto davvero…e indiscutibilmente uno dei più grandi batteristi della storia. Personalmente tra lui e Bonzo non saprei chi scegliere. 

Batterista ESPLOSIVO, nonché protagonista di una performance scoppiettante: i The Who si esibiscono allo show televisivo “The Smothers Brothers Comedy Hour” nel 1967 e sul finire di ‘My Generation’, la batteria salta in aria come un petardo(tutta opera della mente diabolica di Keith), Townshend subisce danni permanenti all’orecchio, mentre l’attrice Bette Davis che si trovava dietro le quinte, perde i sensi per lo spavento. E Keith, dall’alto dei suoi disturbi psichiatrici, se la ride.

Simula liti per strada per spaventare la gente, oppure, con degli altoparlanti collegati alla macchina terrorizza gli abitanti delle città  toccate dal tour. A Newcastle, mise fuori dal finestrino un paio di gambe di plastica gonfiabili, vestite con calze a rete e tacchi alti. Le urla generate da una registrazione fuoriuscirono dall’auto e i residenti chiamano la polizia.

In albergo a Copenaghen trasporta, con la complicità di Townshend, un materasso ad acqua, il quale si rompe inondando i locali circostanti. Keith, stizzito, va dal responsabile e si lamenta perché il materasso, esploso improvvisamente, ha rovinato i suoi costumi di scena. Il manager dell’hotel, quel povero pulcino, si scusa e lo fa sistemare nella suite piena di oggetti interessanti. Questi ultimi, il giorno dopo, son stati usati come dei giavellotti, scagliati rigorosamente tutti fuori dalla finestra. 

Mette ragni finti nelle lenzuola di altri musicisti, si butta con salti carpiati dai terrazzi nella piscina degli hotel (e una volta ci finisce con l’auto Lincoln Continental, scena tributata anche dagli Oasis nella celebre copertina di “Be Here Now”).

Fa esplodere tutti i gabinetti degli alberghi che li ospitano. 

“Mi chiedete cosa mi faccia veramente impazzire? Vedere tutta quella porcellana volare per aria e infrangersi contro i muri”.

…ognuno si diverte come crede…

Ma Keith ha l’animo buono e crede che la compagnia di un animale in tour potesse farlo sentire meno solo: compra un piranha e lo tiene amorevolmente in una vasca da bagno, lanciandogli tocchi di bistecche. Keith va a suonare al concerto, ma quando torna in albergo, trova il suo nuovo amico, bello stecchito con la panza all’aria, galleggiante. Gli sarà venuta la gotta con tutti quegli acidi urici da carne.

A proposito di animali, si vocifera che pur di conoscere il suo vicino di casa Steve McQueen (il quale ha cercato in tutti i modi di evitarlo come la peste bubbonica), si sia fatto mordere dal suo cane da guardia e pare che a sua volta il cane sia stato morso da Keith. Insomma che, alla fine della fiera, grazie a ‘sto piano malvagio senza criterio, riesca a conoscere McQueen, il quale chiama le autorità per risolvere la questione; Moon si presenta vestito come il generale nazista Erwin Rommel. E niente, non ce la fa ad avere un equilibrio mentale.

Però che ridere quella volta in cui, durante il concerto degli Herd, la band di Peter Frampton, Keith allontana il gong ogni volta che il batterista Andrew Steele cerca di colpirlo. Proprio un GianBurrasca questo Keith.

Un bel giorno, dimenticatosi di una conferenza stampa, si fa bendare tipo mummia e riferisce ai giornalisti di esser stato investito da un bus. Gli addetti stampa lo esortano a recarsi in ospedale, ma lui si sfascia come un bambino fa con i regali di Natale e…improvvisa un ballo di tip tap clamoroso.

Ovviamente  Moon the Loon è avvezzo agli eccessi di alcol e stupefacenti. Durante un concerto finisce lungo per terra, perché si sconvolge di tranquillanti e allora, gli Who rimasti in piedi, raccattano un fan del pubblico per sostituirlo. Oppure mi viene in mente quella volta in cui l’attore e membro dei Monty Python, tal Graham, raccontò di quando chiese a Keith del gin: dopo aver appurato che nella stanza d’albergo non ci fosse goccia d’alcol, lui uscì dalla finestra . Graham si sporse per vedere dove fosse, visto che non c’erano terrazzi. Era appeso al cornicione. Dopo poco Moon rientrò dalla finestra con una bottiglia di gin rubata dai vicini di stanza. Senso del pericolo preservato. Tutto ok.

LUI PAZZO, IO PAZZA DI LUI.

Keith muore il 7 settembre del 1978, a 32 anni, dopo una seratona a casa di Paul McCartney. Torna dalla fidanzata, dalla quale si fa cucinare bistecca e uova, guarda “L’abominevole Dottor Phibes”, si cala qualche pasticca di clometiazolo (alla faccia della Melatonina e della tisana al biancospino), si mette in branda e non si sveglia più.

Carlo Verdone lo ricorda così: 

“Col mio amico Castagnoni andammo al palasport al concerto degli Who. Ci piacevano perché esplodeva la batteria, tutto prendeva fuoco. Era quel tipo di rock iniziale, primitivo ed energico che dava qualcosa di forte. Lui e un altro mio amico erano fan sfegatati. Sapeva che gli Who avevano preso una camera d’albergo vicino al palasport che ospitava il concerto, in zona Eur. ‘Ci facciamo fare l’autografo, io voglio quello di Keith Moon, il batterista: è un grande, un grande, un grande’. Gli dissi: ‘Ma sei sicuro? Ci sarà il servizio d’ordine…’. ‘No, no’, mi rispose. D’altronde era uno bravo, che sapeva intrufolarsi”. 

La combriccola raggiunse l’albergo della band. Ma le cose non andarono come i fan avevano previsto: 

“Ad un certo punto il mio amico entrò dentro e fu chiaramente cacciato subito via. Seppe però che le finestre [della camera di Keith Moon] erano quelle che noi vedevamo da fuori. E cominciò ad urlare: ‘Keith! Keith! Un autografo! You are the best drummer in the World…. Keith! Keith! Keith!’. Gli dissi: ‘Calmati, ci cacciano via. Oppure ci menano…'”. 

All’ennesimo urlo, il batterista britannico decise di rispondere. A modo suo: 

“Al cinquantesimo ‘Keith!’ si aprì una finestra e volò di sotto un televisore. L’aveva lanciato Keith Moon. Era un televisore a valvola, quelli di una volta. Si sentì un botto… Scappammo tutti quanti. Il mio amico si girò e gli disse: ‘Ma li mortacci tua’”.

JOHN ENTWISTLE – Talento –

Colui che trasforma  il basso da semplice metronomo a portentoso creatore di melodie. Fate partire il video dopo 1 minuto e da lì comincerà il godimento.

John sale sul palco o entra in studio per registrare, facendo il suo impeccabile mestiere. Nei video sembra l’antirockstar: tutti che spaccano robe, mentre lui percuote con sinuosità le corde del suo strumento. Dita lunghissime, le sue. Come quelle di un Dissennatore. Monoespressivo, ligio al dovere. Invece scopri che è quello che ciocca più di tutti. No dai, non peggio di Moon. Impossibile.  Basti pensare che John è deceduto in un hotel di Los Angeles, dopo una notte di sesso e cocaina con una spogliarellista locale.

Nel backstage ingolla litri di liquori, assume droghe, fa sesso con innumerevoli groupies ed è un gran chiacchierone: trascorre serate a raccontare le sue storie ad amici e fan fino all’alba e oltre. Quando non è in tour conduce la vita di campagna, è depresso e vive in funzione dell’inizio del prossimo tour.

Il buco nero che lo inghiotte, lo fa sprofondare nello shopping compulsivo, per colmare il vuoto che ha dentro di sé. Centinaia di bassi e chitarre, auto di lusso (pur non avendo la patente), vestiti. Un giorno entra in un negozio di abbigliamento country e compra 100 paia di camicie da cowboy e una dozzina di paia di stivali tutti uguali.

Una volta, davanti ad un amico, mette sul tavolo 20mila dollari in banconote nuovissime:

«Sto uscendo per spenderli tutti»

Non sa cosa sia il risparmio. Lui vuole suonare, vuole sempre essere in movimento, così, nelle pause delle tournée degli Who, mette su la  “John Entwistle Band”, fa tour con loro rimettendoci cifre importanti, tra affitto di impianti faraonici e teatri, che finirono per essere sovradimensionati rispetto al pubblico intervenuto. Tutto questo lo porta più volte alla bancarotta, a cui rimediano i vecchi amici Who, con tour americani che ridanno ossigeno alle sue casse. Parliamo di uno dei più grandi bassisti di sempre. Uno di quelli che improvvisano durante le registrazioni per provare il sound,  senza aver mai ascoltato bene il brano in precedenza…e buona la prima! Come avviene per “The real me”. John è stato l’unico bassista i  grado di andar dietro alla follia ritmica di Keith Moon, riportandolo sulla Terra.

Il suo amplificatore sul palco è sempre al massimo, non riesce più a sentire gli altri, osserva costantemente le mani di Pete Townshend, per capire che accordi stia facendo per seguire correttamente il brano in esecuzione. Talvolta Townshend, infastidito, gli volta volutamente le spalle per dispetto. Stronzetto. In Quadrophenia arrangia e suona tutta la sezione fiati (corno, tuba, tromba e sax). Tipo in questo brano.

PETE TOWNSHEND – Cervello-

Il papà di Townshend è un sassofonista jazz degli Squadronaires, l’esuberante banda swing della RAF:

“Erano l’equivalente dei Sex Pistols a quei tempi”, dice Pete. Sua madre Betty Dennis è una cantante professionista, che bada più alla sua carriera. Il papà è quasi sempre ubriaco. «Quando chiesi le prime informazioni sui rapporti sessuali e la procreazione, mi rispose: “L’uomo fa una specie di pisciata dentro la donna”. Passai l’informazione a un mio amico più piccolo, lasciandolo col dubbio che gli umani provengano da una sintesi dell’urina». 

I suoi litigano e non vogliono Pete tra i piedi, così a 6  anni viene affidato alla nonna con disturbi psichiatrici: «Fui mandato a vivere da una nonna mentalmente instabile che rimorchiava uomini nel deposito dei bus e nella stazione della metro davanti casa». Viene molestato da uno di questi “uomini”. E pensare che nel 2003 esce una notizia sui giornali scandalistici in cui viene accusato di aver acquistato materiale pedopornografico. «Ho tre figli e sono stato molestato a mia volta, non avrei mai fatto un gesto del genere, mi sentivo il cavaliere bianco, volevo smascherare quell’organizzazione esibendo alle forze dell’ordine le prove ». Viene indagato e pubblicamente umiliato prima di essere assolto. 

Vissuti abbandonici, abusi sessuali, bullismo, padre e madre con problemi di vario tipo, una nonna con disturbi psichiatrici. Pete ha condensato la sua rabbia, la voglia di ribellarsi ad una realtà disfunzionale, dedicandosi alla musica. La sua musica. Si ispira al blues, al soul.

«Una notte mentre Marvin Gaye stava trattando l’acquisto di una dose di coca della dimensione di una palla da tennis, decisi di dirgli cosa aveva significato per me la sua musica». 

Townshend è il “papà ” del concept-album (ossia un disco in cui le canzoni ruotano attorno a un tema e sviluppano una storia) Tommy, che narra la storia di un bambino che percepisce il mondo attraverso la sua immaginazione. Tommy è diventato sordo, muto e cieco dopo aver subito un trauma. Il leitmotiv dell’opera è “See Me, Feel Me, Touch Me, Heal Me”, una continua richiesta d’attenzione. 

Townshend è quello che vuole queste attenzione,  è colui che spacca la chitarra al termine delle esibizioni, come se fosse un gesto catartico, una sorta di liberazione e di sfogo. 

Ringrazio Pete per aver scritto la storia degli Who, per aver usato la musica come catarsi e anche per aver incoraggiato Eddie Vedder a non sgretolare i miei amati Pearl Jam. 

Era rimasto traumatizzato dagli effetti del successo e voleva tornare a fare il surfer, ma Pete, indossando le vesti di guru, gli  disse: «Non siamo noi a decidere, è il pubblico. Siamo stati scelti, a volte anche contro il nostro volere. Accettalo».

Grazie a Dio, sia Pete che Eddie, l’hanno accettato.

PS: gli Who sono stati presenti anche in uno dei giorni più importanti della mia vita, quello del mio matrimonio. Dopo aver scattato le foto, siamo andati al banchetto e siamo stati accolti dall’ovazione generale e da “Baba o’ riley” messa a tutto volume.

TOMMY : un’opera rock

Townshend si ispira alla stesura dell’opera classica Wagneriana. Dopo l’Overtoure inizia “It’s A Boy”, breve introduzione in cui viene cantata e annunciata la nascita di Tommy. Il padre di Tommy uccide il patrigno (nel film di Russell accadrà il contrario). Il bimbo vede tutto, si chiude in sé stesso e lo porteranno a costruirsi un mondo interiore, isolato da quello esterno. “You Didn’t Hear It”: la madre e l’assassino, gli ripetono ossessivamente «non hai visto niente, non dirai mai niente». Tommy diventa, da quel momento, sordo, muto e cieco. 

Inizia il suo nuovo viaggio, “Amazing Journey”.

In “Christmas” si parla del giorno di Natale, durante il quale tutti fanno festa, mentre Tommy fissa sè stesso nello specchio e riconosce silenziosamente solo la propria immagine.

«Christmas è un brano che parla della frustrazione dei genitori, della loro difficoltà di accettare un figlio così com’è e non come lo si è immaginato prima che nascesse. Tommy è disabile, in realtà è solo una vittima, un incompreso. È sicuramente un bambino “diverso” dagli altri e Christmas descrive questa sua diversità. Quanti di noi sono stati bambini “diversi” dagli altri? Quante rockstar sono state dei nerd, degli outsider. 

Inizia a farsi strada il manthra “See me, Feel me, Touch me, Heal me”. Nessuno la ascolta, nessuno la percepisce.

«Nessuno – dichiara ancora Pete – immagina come sia l’animo di Tommy, ciò che egli prova. Tutti vorrebbero solo cambiare le cose in base alle proprie aspettative. Sicuramente in Tommy ho parlato della mia infanzia e della mia famiglia con un taglio psicanalitico. Le figure principali, a partire dalla madre e dal padre, sono caratteri freudiani». 

“Cousin Kevin” scritta da Entwistle è crudele, perché parla del cugino di Tommy che lo bullizza e gli infligge torture, ma agli occhi degli adulti sembra un angioletto del presepe. 

The “Acid Queen” contiene sesso, droga e qualsiasi altra tentazione. La queen è una prostituta che mette a disposizione ogni genere di droga al suo cliente, incarnando tutta la filosofia delle droghe psichedeliche. 

A John Entwistle spetta nuovamente il compito di scrivere un brano crudo, moralmente violento.

Compone “Fiddle About” e parla dello zio abusante del povero protagonista. Pete ha chiesto una mano a John, perché ammette di non riuscire a usare inchiostro e carta per parlare del suo vissuto di bimbo abusato.

«Mi ci sono voluti parecchi anni, prima di riconoscere ciò che avevo subito nell’infanzia. Volevo che Tommy parlasse di me, ma non riuscivo ad ammetterlo. Non avevo la forza per scrivere quel brano in prima persona. Sono grato a John per averlo fatto». 

Arriviamo al masterpiece Pinball Wizard in cui si racconta di Tommy e del suo rapporto con il flipper, il suo amico, il suo mezzo d’interazione con il mondo esterno. Townshend scrive di getto quella canzone speciale, affrontando un argomento serio e profondo come quello della spiritualità. 

Riconoscete lo sfidante di Tommy?

Tommy viene deriso dai coetanei (Tommy, Can You Hear Me?). Pete condanna il bullismo e la prevaricazione sui più deboli. 

La mamma cerca di comunicare con il figlio, cercando di indurlo a rompere lo specchio nel quale continua a fissarsi. In “Smash The Mirror”, si sente un canto via via più alto di volume: “Rise, rise, rise” (sorgi, sorgi, sorgi). Pochi secondi di silenzio. Il rumore di un vetro in frantumi. Tommy evade dalla sua prigione psichica infrangendo lo specchio. Finalmente libero.

Parte “Sensation”, e poi “Miracle Cure”: una volta saputo che Tommy si è liberato, tutti vogliono andare alla ricerca del segreto della cura miracolosa, che in realtà non esiste. Canzone avanti con i tempi, che parla a modo suo di creduloni e fake news. Tommy prende coscienza di sé e reagisce, correndo e cantando “I’m Free”. E tanti cari saluti a casa. Tra qualche tempo vi parlerò di un altro film-concept album- capolavoro degli Who, ossia “Quadrophenia”. Per ora, proprio come Tommy… siate liberi.

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