1971/1980

METAL

Sono davanti al pc e scapoccio pesantemente ascoltando la playlist dedicata al metallo.

Lo sapete, sono una SouLady con il cuore che pompa sangue Mod, i polmoni che inspirano ossigeno Rastafariano, un corpo che si muove a ritmo di blues & soul ed un cervello che pensa Metal. Solo al pensiero di scrivere due righe su questo genere musicale, sento scricchiolare le vertebre cervicali per l’Headbanging degli anni passati. Pantaloni e giacche di pelle (nel mio caso rigorosamente ecologica), stivalozzi borchiati e si va a comandare. Spesso c’è un po’ di confusione riguardo l’origine del genere, confuso con l’Heavy Metal (che arriverà più tardi) e con l’Hard Rock. Raga, il Metal è più duro, sa di ferraglia. Parliamoci chiaro: i Beatles sono i maestri d’ascia, i carpentieri della barca “HistoryOfMusic” incidendo il primo brano con sonorità Metal, ossia “Helter Skelter”, l’àncora la gettano i Cream, ma i veri armatori sono i miei amati, adorati, glorificati Black Sabbath.
In quale contesto storico il Metal ha iniziato a far fracasso?

La fine dell’era hippy e dei fiori nei cannoni viene segnata dal Festival di Altamont nel 1969, tenutosi nella West Coast, in risposta a quello tenutosi a Woodstock, nella East Coast.

La sera del 6 dicembre 1969 i Rolling Stones salgono sul palco. Ci sono circa 300mila persone. Il palco marcissimo alto un metro e una bustina di Brufen in orizzontale, è al centro di una conca, quindi in basso rispetto agli spettatori, i quali con un piccolo saltello avrebbero potuto trovarsi abbracciati a Keith Richards. Per questo motivo viene richiesto un servizio di sicurezza. Guai, però, a coinvolgere la Polizia: troppi scazzi con i Rolling Stones per via di problemucci di droga.

La scelta ricade sull’affidabilisssssimo gruppo di motociclisti Hell’s Angels, gran teste di nerchia, con i loro gilet di jeans, le toppe e i tatuaggi di svastiche, croci celtiche e aquile: un modo per scioccare i benpensanti e tener lontano eventuali scocciatori. La loro paga per il servizio di security? 500 dollari in birra, a testa. Roba da coma etilico indotto. Quella è gente alla quale prudono le mani, non vedono l’ora di ungere qualcuno come un tegame.

“Se non vuoi che la tigre si mangi i tuoi ospiti, non invitarla al tuo cazzo di pranzo”

(David Crosby al Washington Post)

Non si sa, ad oggi, chi abbia avuto quest’idea geniale di ingaggiare gli Hell’s Angels: se i manager dei Grateful Dead e dei Rolling Stones o la droga pesante da loro assunta. Insomma, le premesse sono tutt’altro che buone. Uno spettatore schiatta ancora prima dell’inizio del live, perchè sotto l’effetto di LSD è annegato in un canale lì vicino.

Comincia la prima esibizione, quella di Santana: interrotta per una rissa davanti al palco. È il turno dei Jefferson Airplane: un tizio nudo sale sul palco e viene trascinato giù dagli Hell’s Angels che lo pestano come basilico nel mortaio. Il chitarrista protesta e cerca di parlare al leader dei motociclisti, ma ‘sto qui grande e grosso gli sgancia un pugno sulla testa e quando si rialza gliene molla un altro. In pratica sembra una scena da saloon di uno spaghetti western. Quanto fa schifo la violenza.

I Grateful Dead si rifiutano di suonare. Il culmine si raggiunge durante il concerto dei Rolling Stones, quando il giovane afroamericano Hunter tira fuori una pistola: intorno a lui si crea il vuoto, ma un membro degli Hell’s Angels, tal Passaro, lo accoltella alle spalle. Una volta atterrato viene picchiato e colpito in testa con un cassonetto.

Tutto viene ripreso da una troupe intenta a realizzare un documentario sul concerto dei Rolling Stones.

Mick Jagger & Co continuano indisturbati a strimpellare il loro rock’n’roll accertandosi ogni tanto come stesse il pubblico: «Fratelli e sorelle, dai. State calmi tutti quanti. Come va? C’è qualcuno che si è fatto male?». Gli Stones, suonando per ultimi, di sera, non hanno visto l’accoltellamento, ma soltanto l’ennesimo tafferuglio.

Alcuni sostengono che Hunter volesse sparare a Jagger sotto effetto di metanfetamine ed in evidente stato di agitazione psico-motoria, mentre altri dicono che i motociclisti lo provocassero con toni razzisti.

Alla fine della fiera Passaro viene scagionato e l’accoltellamento viene fatto passare come atto di autodifesa.

Tutto questo segna inesorabilmente la fine dell’utopia hippy, disillusa dinnanzi al lato oscuro della natura umana. Passa la psichedelia e ritorna il buon caro vecchio tritono, l’intervallo di quinta diminuita, il diabolus in musica tipico del blues. Il ritmo si fa lento e pesante come un macigno. Le sonorità si fanno più cupe, pastose e distorte. I riff spessi la fanno da padrone. Le canzoni parlano di aldilà, di soprannaturale, di caos sociale, di guerra e di conflitto tra il bene ed il male.

I Black Sabbath sono i capostipiti del Metal e tutt’ora sono tra i gruppi più influenti della storia, dando vita a tutto il filone Metal (heavy, prog, power, thrash, doom, stoner, crossover, ecc…, )nonostante la tecnica non eccessivamente sopraffina.

Estremizzano il blues-rock con i loro accordi minori distorti dal suono tondo, il groove ti rimbomba nella cassa toracica e il canto poco modulato di Ozzy ti arriva dritto nei timpani. Si ispirano ai Cream e dal primo album s’intuisce.

I miei amatissimi, all’inizio non se li filava nessuno: bisfrattati dagli hippy, dai rockers (schifati dalla pochezza tecnica), dai songwriters. Gli adolescenti, però, troppo piccoli per poter stare dietro ai poemi sinfonici dei King Crimson e alle partiture psichedeliche dei Pink Floyd, ne rimangono affascinati e li ascoltano con piacere.

I Black Sabbath arrivano dritti al cuore dei giovani sbarbatelli, si ascoltano con semplicità, un po’ ciò che accadde agli adolescenti nell’epoca dei Beatles. Solo che, i ragazzi influenzati dai Beatles al massimo scrivevano brani leggiadri come il volo di una libellula, mentre i seguaci dei Black Sabbath sono quelli che a breve avrebbero messo su un gruppo Heavy Metal, facendo evolvere ulteriormente il genere fino ad arrivare al Doom.

Nascono nella fuligginosa Birmingham nel 1967 con il nome di Earth. Tuttavia, esiste già un gruppo con lo stesso nome, e ciò ha portato a diversi equivoci poco piacevoli.

Tony Iommi racconta:

Io e il chiqui al “The End tour” dei BS all’Arena di Verona (carichi di spritz)

Sono tutti dei personaggioni.

Tony Iommi nato da madre palermitana e padre marchigiano, suona la chitarra da mancino da quando ha dieci anni.

A diciassette anni, durante il suo ultimo giorno di lavoro in fabbrica, un macchinario si inceppa e Tony Iommi perde le falangi del dito medio e dell’ anulare della mano destra, quella con cui, essendo mancino, fa gli accordi. I dottori gli dicono che non avrebbe mai più potuto suonare la chitarra. Eh si, ve lo credete!

Tony si costruisce da solo delle protesi per compensare le parti mancanti delle dita: una bottiglia di detersivo in vetro, pezzi di acciaio, lembi di una giacca di pelle e il gioco è fatto. Giovanni Muciaccia scansati.

Usa delle corde da banjo più leggere, preme molto di più quando fa gli accordi (perché non ha sensibilità) e accorda la sua chitarra tre semitoni più in basso per creare un suono più pesante. Purtroppo non può suonare alcuni accordi e non sente le corde della chitarra sotto le dita, ma questo incidente ha inventato il sound Metal.

Che dire di Ozzy? Avete presente quegli idoli ai quali vuoi bene come se facessero parte della tua vita e della tua famiglia? Lo stesso tipo di legame l’ho avuto con Robin Williams e Angela Lansbury (i più la conoscono nei panni di Jessica Fletcher, ma per me è stata la colonna portante della mia infanzia con “Pomi d’ottone e manici di scopa”). Ecco, per me lui è uno zio. Lo zio Ozzy. Gli voglio un bene che guai.

Ricordo quando papà, in una delle solite scene epiche famigliari tipo quando Ivan, seduto sul gabinetto suonava la chitarra, io sul bidet cantavo, papà si lavava i denti e la mamma faceva la doccia, diceva che se ci fossero state delle videocamere in casa saremmo stati come gli Osbourne. Però quanto ridere ci siamo fatti, una famiglia di scoppiati. Ai concerti dello zio Ozzy rigorosamente nelle prime file (a parte al “The end tour” all’Arena di Verona, in gradinata).

Che meraviglia quando, al Gods of Metal del 2007, si sparò un idrante in faccia. Rideva come un bimbo felice saltellando per il palco, ulrando al pubblico “C’mon! C’mon!”.

Addirittura dopo una finta uscita dal palco (quella che anticipa i brani finali), lui da dietro le quinte si auto-incitava urlando al microfono “One more song! One more song!”, cosa che solitamente viene urlata a squarciagola dal pubblico.

La mia cumpa dei concerti seri

Mi è rimasta impressa la biografia “Io sono Ozzy”, nella quale racconta, oltre a tutte le aspirate di cocaina (una volta ne sniffò un sacchetto intero per paura che la polizia lo scoprisse con le mani nella marmellata e allora al posto di gettarla nel gabinetto…sniff! Sniff!) e di formiche (si, è successo davvero), un episodio che mi ha fatto sdraiare.

A scuola Ozzy non andava per niente bene e prendeva pattoni dai suoi. Dopo svariati decenni si è scoperta la sua dislessia. Visti i suoi problemi accademici, vive di qualche piccolo espediente.

Un bel giorno si intrufola in casa di un tizio, gli ruba la televisione: quando esce di soppiatto, scivola sugli scalini, cade e gli piomba la tv addosso. Sviene. Viene risvegliato dalla polizia. Punto. Un’altra volta entra in un negozio in piena notte per rubare dei vestiti, con l’intento di rivenderli sul mercato nero. Complice il buio: ruba vestiti per bambini. Un piccolo pasticcione ebbro e sotto perenne effetto degli stupefacenti, ma un uomo dall’indole buona che combina sempre guai. Si, gli voglio proprio bene. Lo abbraccerei.

Loro sono John “Ozzy” Osbourne, Geezer Butler al basso, Tony Iommi alla chitarra, Bill Ward dietro alle pelli. Decidono di cambiare nome in Black Sabbath; Ozzy narra:

Si, perchè Geezer guarda un film di Mario Bava del ’63, si chiama “I tre volti della paura”, in inglese “Black Sabbath”. E te lo lì.

Dietro alla parola “sabbath” ci sono anche altre versioni. Shabbat nella religione ebraica indica il giorno di riposo, ossia il sabato. Il Sabba, invece, nella tradizione medievale di stregoneria era il ritrovo notturno di streghe e stregoni presidiato dal diavolo.

storie di crocifissi anti-malocchio

Il problema è che i Black Sabbath non c’entrano una fava con i capretti sgozzati e creature mefistofeliche vari ed eventuali. Una strega, addirittura, propone loro un rito satanico, ma ovviamente rifiutano l’offerta come ad “Affari Tuoi”; in tutta risposta lei decide di scagliare su di loro il malocchio. Il papà di Ozzy contatta immediatamente un fabbro che farà dei crocifissi da appendere al collo, per proteggerli come fossero amuleti. Si raga, i Black Sabbath poco hanno a che fare con quel mondo.

Ovviamente i Black Sabbath si occupano di suonare, non di creare copertine degli album con simbologia esoterica: su quella del primo disco, c’è una strega davanti a una vecchia casa inglese (alcuni riescono a vedere anche un gatto nero tra le sue braccia) e si intravede la sagoma di un corvo tra gli alberi. Aprendo il vinile gatefold originale, si trova un breve racconto del terrore scritto dentro ad una croce rovesciata.

Io amo gran parte della discografia. “Black Sabbath” si apre con l’omonimo brano: rumore di pioggia, tuoni, campane, chitarra basso e batteria che entrano insieme a gamba tesa con un ritmo lento dal suono granitico che ti piomba addosso, poi i volumi diminuiscono, Ward si fa delicato sulle pelli, entra Ozzy con la sua voce dritta, alla fine della strofa ripartono a suonare di brutto. Questa dinamica dura fino a quando la canzone sembra finita, ma invece no; parte una marcia sempre più incalzante che culmina con un assolo di Tony Iommi che non ve lo sto neanche a dire.

Poi c’è il basso di Geezer all’inizio di “N.I.B.” che mi fa godere forte.

“Beyond the Wall of Sleep” è un brano scritto da Geezer…anzi, dal suo subconscio:

Ora invece gli pseudo-artistoidi scrivono brani spremendo le meningi perchè lo richiede la casa discografica.

Passiamo all’album Paranoid.

Si apre con una delle canzoni più belle contro la guerra: “War Pigs”, solito ritmo lento e suoni pastosi, allarme antiaereo, quando comincia a cantare Ozzy si sentono solo i piattini del charleston che vibrano, poi le dinamiche di Ward evolvono, l’assolo di Iommi si fonde a quello di Geezer in un’amalgama unica di riff e arpeggi.

Comincia “Paranoid” ed ogni volta penso al mio papo che appena ha avuto l’occasione di mettere una canzone come suoneria del cellulare, ha messo questo capolavoro. Ora ce l’ha la mia mami. Inutile descrivere questo masterpiece.

Anche se una delle mie preferite del disco è “Planet Caravan”: dei Black Sabbath insoliti con percussioni, chitarra pulita, voce distorta, effetti sonori.

Quanti trip adolescenziali mi son fatta con questa canzone, un sacco di viaggi con partenze e senza ritorni: ero lì, tra i pianeti. Se non cliccate su “play” siete dei pipistrelli.

“Iron man” tornata in auge grazie a quel fiKo di Robert Downey Jr che interpreta l’omonimo supereroe superfiko, narra la storia di un robot abbandonato e maltrattato, che sfoga tutta la sua rabbia uccidendo la gente dopo averla salvata.

Il cambio di rotta che non ti aspetti a metà brano di “Electric Funeral”, la cazzimma che mi fa tirar fuori “Hand of Doom”, i colpi ben pestati nell’assolo di Ward che si alternano a dei ritmi jazzati nel brano strumentale “Rat Salad” (titolo disgustoso, i know) e per chiudere “Fairies wear boots”, testualmente le fate indossano gli stivali (e ballano con i nani) che più va avanti e più si accende come un fiammifero, con l’ennesima prova di bravura di Iommi e di tutti quanti.

Insomma di questo album non si butta via niente, perchè per me sono tutti capolavori.

“Master of reality” è il terzo disco con Children of the Grave che mi dava la carica durante le corse sul tapis roulant , picchia forte con colpi ben assestati. Guardate qui Ozzy quanto è felice (e manzetto), dai.

“Into the void” è il pezzo Doom metal per eccellenza che ispirerà le generazioni a venire.

Nel 1972 esce “Vol.4” e a parte “Supernaut” che mi esalta particolarmente, c’è “Snowblind” e dal terzo minuto Iommi e Ward mi fanno rizzare i peli anche dove non li ho.

Passiamo a “Sabbath Bloody Sabbath” dove c’è “Sabbra Cadabra”, titolo spettacolare del brano che mi ha fatto da sveglia, prima di andare a vivere con mio marito (altrimenti sarebbe rimasto a letto, in rigor mortis).

“Sabotage” non l’ho mai apprezzato quanto gli altri dischi, tant’è che poi faccio un salto carpiato in avanti, abolendo gli ultimi due album registrati con Ozzy, prima di essere licenziato dal gruppo. Era perennemente su un altro pianeta, impossibile lavorare con lui, immagino.

Al suo posto giunge Ronnie James Dio, patatone mio adorato Ronald James Padavona, l’inventore del gesto delle corna e, anche se mi da molto fastidio che venga mantenuto il nome del gruppo, “Heaven and Hell” è un’opera maestra. Il pezzo omonimo è spaziale, procede calmo, fino a quando Ward parte con Geezer che gli va dietro battendo sulle corde e Iommi che come al solito fa venire la chitarra. Si aggiunge RJ Dio, che in quanto a voce dovete stare tutti muti. Qui di seguito un pezzo che spinge forte, sempre.

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