1961/1970

SOUTHERN ROCK

L’alfabeto del Southern Rock va dalla A di Allman Brothers alla Z di ZZ Top. Gli insegnanti di grammatica sono The Band (imperdibile il live di The Last Waltz) e i Creedence Clearwater Revival che, con le loro barbe incolte e il look trasandato, sono ben lontani dal rendere umidi i sogni delle giovani adolescenti, ma in compenso ci pensano la voce di Jon Fogerty e gli album da sballo.

Mentre nel Nord ci sono la rivoluzione del rock e la sperimentazione, il suono del Sud è conservatore.

Il minimo comun denominatore del Southern Rock è rappresentato da: una base country/blues, la presenza di due o più chitarre soliste palesemente ispirate al Maestro Jimi Hendrix, l’improvvisazione collettiva, testi semplici che parlano di valori tradizionali e patriottismo. I musicisti ci sballano ad esaltare la loro grinta e virilità, cantando storie di donne procaci, scazzottate tra una partita al biliardo ed un sorso di Jack Daniel’s.

In questo periodo storico a Est ci sono i cantatutori folk intellettuali e progressisti alla Bob Dylan, a Ovest gli hippie che si sfondano di LSD e rock psichedelico, a Sud i sudisti.

I luoghi- fulcro dai quali si espande il Southern Rock sono sparsi fra la Florida e il Texas, passando per la Georgia, l’Alabama e la Carolina.

Quello sudista è un mondo provinciale formato dai cosiddetti “Redneck”, ovvero i contadini che furono i soldati degli Stati Confederati durante la guerra civile statunitense. Nel 1861 il Regno d’Italia spegne una candelina, mentre in America gli stati “Dixie ” del Sud vogliono staccarsi da quelli del Nord costituendo una Confederazione. E giù botte. Una guerra che peraltro non porterà ad un vincitore e ad un vinto. I Lynyrd Skynyrd faranno della bandiera Dixie il loro vessillo.

Ad un concerto Southern si punta al divertimento.

Premetto che ridurre questo gruppo alla definizione di gruppo sudista, non rende giustizia: sono artisti poliedrici che vengono dal blues, soul, gospel e jazz. Non sono razzisti come spesso si è soliti pensare dei sudisti.

Originari di Nashville (Tennessee), i fratelli Allman, Duane e Gregg, nel 1959 hanno 12/13 anni e vanno ad un concerto di B.B. King al Nashville Auditorium. Rimangono folgorati. Da grandi vogliono diventare come lui. Si trasferiscono in Florida dopo la morte del padre, a Daytona Beach.

Il 23 Marzo del 1969 Duane Allman, va a suonare la chitarra nel garage dell’ amico batterista Butch Trucks assieme a Dickey Betts (chitarra), Berry Oakley (basso), Jay “Jaimoe” Johannson (un altro batterista come Butch).  Certo che belin, due batterie, due chitarre e un basso in un garage…non avrei voluto essere nei panni dei loro timpani. Parte una jam interminabile. Si guardano tutti belli soddisfatti dell’operato. In tempo zero Duane telefona a Gregge gli dice: ” ‘ scolta un attimo, oggi abbiamo spettinato i calvi nel garage di Butch, quindi vedi di aggregarti in qualità di cantante/tastierista”. Gregg da il suo benestare, si butta su un volo e raggiunge il fratello. Nasce la Allman Brotherd Band. Dopo quattro giorni suonano al Jacksonville Beach Coliseum e dopo due settimane firmano un contratto discografico. Pronti, via!

Nel Luglio 1969 suonano all’Atlanta International Pop Festival , condividendo il palco con Canned Heat, Led Zeppelin e Creedence Clearwater Revival. Gli oltre centomila spettatori rimangono sbigottiti ascoltando queste jam incontenibili degli Allman Brothers Band. Il drumming torrenziale dei due batteristi, i dialoghi di rara finezza tra le due chitarre, mentre il basso e la tastiera legano tutto come lo spago per arrosti e involtini. Ebbene si, il basso di Berry Oakley con la tecnica “melodic bass runs” fa da collante melodico tra un accordo ed il seguente con una serie di note basse.

Il palcoscenico è il loro campo di battaglia e di amore allo stesso tempo. Quando registrano in studio è come se suonassero con il freno a mano tirato. Dagli album non si percepisce il calore sprigionato da quel fuoco, che solo sul palco può essere appiccato.

Ma perchè non registrare un loro live? Il Fillmore East è considerato La Mecca del rock tra il 1968 e il 1971. Perchè non esibirsi proprio lì? Nel 1971 la Allman Brothers Band va on stage e incanta tutti per ben tre date di fila (l’11, il 12 e il 13 marzo del 1971) e il risultato di quelle magiche notti – ad eccezione della prima – fu poi selezionato e distribuito sulle quattro facciate del doppio LP dal vivo, uscito nel luglio dello stesso anno. Il loro Live at Fillmore East entrerà nella storia della musica, una pietra miliare. Ci sono pochi dischi live che mi piacciono..ma questo è decisamente in classifica assieme a Made in Japan dei Deep Purple, Live at Whiskey a Go Go di Otis Redding, Mad Dogs & Englishmen di Joe Cocker ed il Live at The Apollo di James Brown. Ascoltare per credere. Duane Allman fa venire la chitarra con lo slide. Eric Clapton ancor prima dell’esibizione al Fillmore, rimane affascinato dal suo stile chitarristico e lo arruola nel progetto parallelo Dereck and the Dominos per raccogliere i cocci lasciati da Cream e Blind Faith.

Tornando al Live al Fillmore East: trattasi di una vera e propria dichiarazione d’amore al blues. Vengono reinterpretati i grandi classici fino ad arrivare ai loro brani originali come “In Memory Of Elizabeth Reed”, una cavalcata sperimentale e psichedelica dal sentore prog che mette in evidenza Duane Allman non solo come bluesman, ma come chitarrista estremamente versatile. L’ultimo pezzo è il loro masterpiece Whipping Post (clamorosa la versione di Frank Zappa).

Al fotografo Jim Marshall viene dato l’arduo incarico di fotografare la band per sbatterli sulla copertina del disco. Noto a tutti il loro disagio misto a rifiuto nel farsi immortalare. Dopo diversi tentativi, Duane si allontana per andare a salutare un amico pusher e torna sul set tutto baldanzoso con una bella bustina di zucchero filato “truccato” tra le mani. A tutti scappa una fragorosa risata e Jim non si fa scappare il momento. Carpe Diem. Click!

Sul retro troviamo i roadies, seguaci della ABB che, con i musicisti, condividevano quotidianamente vita, chilometri e peripezie di ogni tipo e di ogni tasso etilico. Marshall, per tenerli fissi in posizione, e per riuscire nell’intento, comprò loro ben 16 bottiglie di birra (sentito ringraziamento del fotografo anche per aver trasportato tutta l’attrezzatura della band). Il resto è storia: ascoltare per credere!

Purtroppo la band riceverà degli scossoni terribili: il 29 Ottobre 1971 Duane morirà a bordo della sua Herley in un incidente. Gregg avrà un tracollo: ci sarà un susseguirsi di matrimoni fallimentari (ben sei, di cui il primo con Cher e l’ultimo con la pornostar Savannah). Ovviamente il tutto condito dalla dipendenza da droghe pesanti e alcol. Gregg, sempre on the road.

Il fato ha voluto che un anno dopo la perdita di uno degli Allman, morisse anche il bassista Berry Oackley in un incidente, a pochi isolati dal luogo in cui perì Duane. Entrambi avevano 24 anni. Ed era come se avessero già vissuto 3 vite. I due riposano accanto al Rose Hill Cemetery di Macon, in Georgia.

Il batterista Butch Trucks si suiciderà nel 2017. L’altro cuore pulsante della band è Jai Johanson, con il suo groove e la sua gavetta a fianco di Otis Redding e nella touring band di Sam and Dave. Dickey Betts è mancato quest’anno e, assieme a Duane, insegnò ai posteri che due chitarre soliste possono coesistere, rispettarsi vicendevolmente negli spazi d’improvvisazione, alternandosi e fondendosi. C’era empatia e chimica tra quei due.

Allora dovete capire che a Novembre 2019 comprai i tickets per un live a Villafranca di Verona per andare a sentire i superstiti dei Lynyrd Skynyrd, UFO e Darkness. Poi scoppia il finimondo a inizio 2020 con quel belin di Covid. Nel 2023 è seccato l’ultimo superstite dei Lynyrd quindi non li ascolterò mai più dal vivo nella vita. Una storia che si ripete, maledizione ai miei gusti musicali e alla mia passione per gruppi i cui membri sono ormai sotto ad un cipresso da tempo, o che sono in procinto di andarci.

il famigerato prof Skinner

Ok, sfogo a parte parliamo di cose serie. A Jacksonville, città della Florida dal gran fermento musicale, Ronnie Van Zant, Allen Collins e Gary Rossington si conoscono alla Robert E. Lee High School. Sono accomunati da una bruciante passione musicale e dalla poca tolleranza nei confronti del prof. di educazione fisica “Leonard Skinner”. Quest’ultimo non sopportava che loro portassero i capelli lunghi e che fossero un po’ indisciplinati. Iniziano a suonare insieme, con altri ragazzi (la formazione cambierà mille volte, spesso a causa di contrasti con quella zucca dura di Van Zant, ma i tre capisaldi resteranno). Dopo qualche data in giro per gli Stati del Sud, si creano una reputazione grazie alle loro esibizioni trascinanti.

Lynyrd Skynyrd (Pronounced ‘lĕh-‘nérd ‘skin-‘nérd), nonché primo album del gruppo, esce nell’agosto del 1973. Capolavoro assoluto, colonna sonora dei miei viaggi da Genova ad Alpe, il mio posto del cuore, tra i verdeggianti tornanti della Val Trebbia. Qui ci sono i miei due brani preferiti dei Lynyrd.

Simple Man inizia con: “Mama told me/ when I was young”, celebrando la figura di una mamma accogliente che da consigli su come condurre una vita all’insegna della semplicità, del ritmo lento, di accontentarsi delle cose importanti della vita e di essere grati per ciò che si è e ciò che si ha. Non bisogna andare alla ricerca spasmodica di cose materiali, di denaro, perchè la vera felicità risiede nell’amore, nelle relazioni e nel rapporto con Dio. “Simple Man” è stata scritta a ridosso della scomparsa della nonna di Rossington e della madre di Van Zant. Inizia con un ruvido arpeggio che si amalgama all’Hammond e il ritornello esplode come una granata lanciata in una radura.

Il capolavoro assoluto dei Lynyrd, per me, rimane “Free Bird”, una dedica al compianto Duane Allman. Il sound ricorda molto quello della Allman Brothers Band, soprattutto nelle conversazioni tra chitarre. Inizia con l’Hammond, chitarra acustica, poi elettrica. Il ritmo si fa più incalzante, poi torna la calma, poi di nuovo la batteria pompa e dietro tutti gli altri. Van Zant, da sotto il suo cappello da cowboy, intona a tutto diaframma: ” Lord, I can’t change..Won’t you fly hiiiiiiigh, freeeeeee biiiiiird, yeah “. Un’aquila spicca il volo, si libra nell’aria, libera. Parte un assolo che io boh. Dico solo: 3 chitarre soliste e 2 ritmiche, in un tripudio di note che mi fanno sudare i piedi dalla tensione emotiva. Si annovera tra i miei best solo ever della storia. Vorrei che questa canzone non finisse mai.

Pronounced Leh-nerd Skin-herd, si merita il “disco d’oro” appena un anno e mezzo dopo la sua uscita. E ‘sti catsee.

Sarà però nel 1974 che Ed King, con la sua Fender Stratocaster inciderà quel riff che si appiccicherà ai nostri padiglioni auricolari per sempre: quello di “Sweet Home Alabama”. Il suo essere mezza boogie e mezza honky tonk la rende allegrotta, in contrasto con il testo che parla di tematiche socio-politiche (Watergate e di segregazione razziale). Sembra essere una risposta al testo del vate cantautore nord americano Neil Young  che in “Alabama” stigmatizzava la chiusura mentale dei sudisti.

Come i predecessori Allman Brothers, anche i Lynyrd non si può dire che siano stati baciati dalla fortuna. Dopo due incidenti automobilistici che coinvolgono due componenti, non si perdono d’animo, rallentano il ritmo delle tournèe e registrano il loro canto del cigno: Street Survivors, pubblicato il 17 ottobre del 1977.

Tre giorni dopo, l’aereo sul quale viaggiano, si schianta in una foresta del Mississippi. Si salveranno con ferite molto gravi Allen Collins, Gary Rossington,Leon Wilkenson e Lesile Hawkins.

Ovviamente il gruppo si sciolse dopo la catastrofe. Si sussegue qualche reunion costellata anche di guai giudiziari con le vedove.

Ormai i Lynyrd Skynyrd sono leggenda, come molti. Come troppi.

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